I COLORI DELL’ANTICO. MARMI SANTARELLI AI MUSEI CAPITOLINI dal 12 Aprile 2022 nelle Sale di Palazzo Clementino. Il 7 Agosto, prima domenica del mese, apertura gratuita di Musei civici e siti archeologici di Roma. In copertina Verde antico, Grecia, lastra frammentaria. Photo Courtesy ©Sovrintendenza Capitolina / Fondazione Santarelli.

CARTELLA STAMPA I COLORI DELL’ANTICO. MARMI SANTARELLI AI MUSEI CAPITOLINI

MARMI COLORATI: STORIA, MOTIVAZIONI E RIFLESSI NELLE ARTI
Andrea G. De Marchi
Introduzione
Due sale dei Musei Capitolini sono state consacrate a una piccola rassegna, per un tempo molto superiore alle consuete mostre temporanee e perfino ai sempre più effimeri riallestimenti museali. In questi spazi si cerca di riassumere un tema fondamentale per la storia di Roma, meritevole di una più ampia illustrazione, magari entro una futura sezione permanente o in un museo dedicato al marmo, di cui si parla da tempo. Si offre qualche esemplificazione sull’immensa quantità di pietre importate, molto significativa in campo economico, gestionale, architettonico e artistico. Essa caratterizzò in modo determinante l’organizzazione dell’impero e l’aspetto della città, attraverso le età antiche, medievali e moderne.
La scelta dei marmi da esporre, pur essendo stata comprensibilmente molto ristretta, riesce nondimeno a interessare chiunque la guardi, sia esso un esperto o un semplice curioso. Annovera campioni modellati per comporre serie sistematiche, come ne furono raccolte a partire dal XVII secolo, nonché pezzi rimasti allo stato di frammento. Fra questi ultimi si contano parecchie mattonelle di misure standard e speciali, insieme a qualche brano scolpito per altri manufatti.
La sala nella quale sono riuniti gli esemplari si trova a pochi metri dal punto da cui partivano le grandi vie di comunicazione dell’impero. Anche per questo si sono volute raggruppare le qualità esposte secondo le direttrici cardinali da cui esse giunsero a Roma, dopo aver compiuto viaggi talvolta lunghissimi. Ne consegue un colpo d’occhio che è già in sé istruttivo, giacché palesa la preponderanza delle specie provenienti da Sud e da Est, rispetto al Nord e all’Ovest. È un criterio partitivo che si distingue da quelli sin qui messi in campo, dove sono prevalse organizzazioni basate sulle tipologie lapidee, oppure sulla sequenza alfabetica.
L’allestimento permette di apprezzare da vicino la qualità fisica e cromatica di parecchi materiali, insieme ai risultati della loro lavorazione che, anche nel caso di pezzi seriali, mostra un pregio molto superiore alla piatta finitura dei prodotti moderni trattati da macchine. Il mancato intervento diretto dell’uomo si manifesta oggi anche nella scelta dei pezzi, tanto al momento dell’estrazione, quanto in quello della messa in opera. Gli effetti di questo andazzo ci sono noti da infiniti esempi. Fra i più conosciuti, c’è probabilmente la tribuna delle Nazioni Unite a New York, foderata di lastre di marmo verde posate alla rinfusa, rinunciando a organizzare formalmente i motivi naturali della materia. È l’ennesimo caso di abbandono di una cura coltivata per secoli, nello scegliere e combinare le venature della pietra (come del legno) per ottenere nuove creazioni e una generale armonia compositiva.
La maggioranza dei marmi e dei temi qui selezionati non si può ridurre a una questione di scultura, pittura o architettura, giacché contiene elementi comuni alle tre discipline. La nostra panoramica minima è votata alla concretezza, con il fine di ricongiungere i dati materiali a quelli associati a un’idea di arte troppo spesso ancora spiritualizzata. La convinzione è che, in questo campo come in altri, la corporeità dell’opera coincida con i suoi contenuti qualitativi, storici e poetici.
Il nostro volume accompagna l’iniziativa e comprende alcune ipotesi di studio, formulate da archeologi e architetti, nonché da chi scrive: uno storico d’arte specializzato soprattutto in questioni di pittura, ma da tempo interessato anche ai marmi. La ricca policromia di quelli portati a Roma ebbe motivazioni varie, costi immensi e vaste ricadute estetiche e organizzative. Ma va osservato, anzitutto, come la complessa vicenda sembri essere stata in qualche modo attutita dalle principali rappresentazioni di quell’illustre passato. È una strana sindrome, che ha visto spesso trasmettere l’immagine della capitale dell’antichità con toni sbiaditi.
Alcune pietre colorate furono lavorate sin dal Neolitico, quando a prevalere sulla bellezza dovevano essere necessità di carattere utilitaristico e funzionale. Di certe qualità, come il durissimo serpentino verde, possiamo ripercorrere l’utilizzo ininterrotto a partire dalla tarda età del bronzo (1600-1100 a.C.). Esso è stato rinvenuto entro insediamenti di quell’epoca, anche a qualche distanza dalla sua zona di prelievo, situata presso Sparta, nel Peloponneso. Due pezzi molto raffinati, uno dei quali frammentario, sono nel nuovo museo di Micene. Ricorre quindi nel mondo romano, per essere ancora reimpiegato e non di rado anche rilavorato, lungo tutto il Medioevo, fino al Rinascimento e al Barocco italiano. Sappiamo che alabastri e graniti diversi vennero apprezzati parecchi secoli prima di Cristo, da varie civiltà del Mediterraneo e del Medio Oriente. In Egitto i faraoni usarono qualità lapidee diverse per struttura interna e tinte, da quelle a grana compatta, come la basanite, ad altre a macchie. L’ultima dinastia, quella dei Tolomei (305 -30 a.C.), corrispondente pressappoco all’epoca ellenistica, allargò il repertorio, che sarebbe poi stato tanto apprezzato a Roma.
Queste e altre rocce colorate avrebbero contraddistinto l’immagine della nostra città, lungo la sua storia millenaria. Il dato appare tuttavia molto più evidente nel concreto reimpiego di quei materiali, piuttosto che nella stragrande maggioranza delle rappresentazioni della Roma, che vedremo soggette ad alterazioni costanti. Forse anche per questo strano fenomeno, gli studi sui marmi colorati sono decollati relativamente in ritardo e non di rado grazie ad autori solo ‘prestati’ all’archeologia. Fra essi è un avvocato romano attivo nel primo Ottocento, Faustino Corsi, cui spetta il primo contributo che oltrepassi l’erudizione settoriale. Nel XX secolo ha approfondito lo sguardo su questa antichità a colori un insegnante di culture indiane, come Raniero Gnoli. Lavori più recenti spettano ad architetti, come Dario Del Bufalo, a storici d’arte, come Caterina Napoleone, o a petrologi, come Lorenzo Lazzarini. Si ricorda, infine, la mostra sui Marmi colorati della Roma imperiale (2002/3) che, oltre a essere stata fra le esposizioni temporanee più originali e affascinanti dell’ultimo quarto di secolo, costituisce un precedente illustre per questa minuscola iniziativa.

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